Benvenuto well-being washing, (non) ti stavamo aspettando

Il benessere dei dipendenti ha smesso di essere un’opzione per diventare la regola, ma poche imprese sanno prendersi davvero cura di chi lavora per loro.
Attività per aumentare il benessere in azienda

“Con AmaZen volevo creare un luogo tranquillo dove le persone potessero concentrarsi sul loro benessere mentale ed emozionale”, spiegava quasi un anno fa la program manager di Amazon Leila Brown in un video che oggi non esiste più.

O meglio: il video esiste ancora, ma non nella sua versione originale. Il tweet che lo conteneva infatti è stato rimosso dal profilo Twitter di Amazon a poche ore dalla pubblicazione a causa della pessima accoglienza ricevuta sul web.

Il pezzo forte di AmaZen, il progetto dell’azienda dedicato alla salute mentale lanciato lo scorso maggio, erano infatti gli ZenBooth, cabine all’interno delle quali i dipendenti dei magazzini di Amazon potevano trovare uno schermo dove selezionare meditazioni guidate o suoni rilassanti e qualche piantina per “ricaricare le batterie”.

Dal punto di vista dei più di seimila dipendenti di Amazon che hanno lavorato al progetto (con un budget complessivo di circa 300 milioni di dollari), queste semplici cabine avrebbero “risollevato e in ultima analisi ridotto il rischio di infortuni” dei lavoratori e delle lavoratrici e aiutato Amazon a diventare “il luogo di lavoro più sicuro sulla faccia della terra”.

Le cose non sono andate proprio così: nel 2021, gli incidenti all’interno delle strutture di Amazon sono stati più di 38mila, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. 

Del video promozionale degli ZenBooth restano poche tracce, molti commenti indignati e, finalmente, un nome da dare a questo tipo di esperimenti fantasiosi: well-being washing.

Benessere a lavoro

Che cos’è il well-being washing

Il well-being washing è la tendenza di alcune imprese a organizzare attività o proporre servizi che in teoria promuovono il benessere del personale, ma che nella pratica non portano nessun miglioramento alla salute dei e delle dipendenti.

Gli ZenBooth non sono un caso isolato: dietro ai tavolini da ping-pong e ai divanetti di ufficio si nascondono infatti goffi tentativi di proiettare un’immagine che non esiste: quella dell’azienda che ascolta sul serio le richieste dei lavoratori e delle lavoratrici. 

Che senso ha in fondo poter farti una partita a calciobalilla con i colleghi se devi lavorare fino a mezzanotte? E quanto è utile una lezione di yoga gratuita il mercoledì pomeriggio se non puoi prenderti un permesso per andare a vedere lo spettacolo di fine anno di tuo figlio?

Proprio come il green washing serve a promuovere una sostenibilità di facciata, il well-being washing serve a quindi diffondere un’idea di benessere aziendale che non esiste.

I sette peccati capitali del well-being washing

Negli ultimi dieci anni, per le aziende il benessere dei dipendenti ha smesso di essere un’opzione per diventare la regola. Eppure, poche imprese sanno come prendersi davvero cura di chi lavora per loro. 

Ecco quali sono gli errori più comuni:

1. Agire con superficialità 

Montare scrivanie per lavorare in piedi in ufficio o offrire lezioni di yoga gratuite è l’equivalente aziendale di mettere un piccolo cerotto su una ferita che sanguina: è troppo poco, troppo tardi. 

Chi soffre di ansia e stress o vive un periodo di burnout ha bisogno di ben altro: più flessibilità negli orari di lavoro, una leadership più gentile, più permessi per trascorrere tempo con chi ama e di molte altre cose che possono essere qualche semplice domanda: come stai? Come posso aiutarti davvero?

2. Fare false promesse

Annunciare pubblicamente il lancio di progetti a favore della salute mentale dei dipendenti che nella realtà non si avverano mai (o che sarebbe meglio che non si avverassero mai, come AmaZen) mette in crisi la fiducia dei lavoratori e delle lavoratrici. E la fiducia non si compra: si costruisce nel tempo.

3. Privilegiare i privilegiati

Un altro errore molto comune nelle imprese è quello di rispondere solamente ai bisogni di chi ha già molti privilegi, ovvero chi non soffre di discriminazioni o ha problemi economici o di salute. Il benessere aziendale, infatti, deve rispondere alle necessità di ogni dipendente, prendendo forme diverse per adattarsi alla realtà.

4. Scaricare la responsabilità sul singolo

Come nel caso della sostenibilità, non è raro che l’enfasi si concentri sulle responsabilità del singolo, invece di distribuirsi equamente tre le persone e le imprese. Proporre servizi di coaching per i dipendenti stressati è un’azione buona e giusta, ma è inutile farlo se non si vanno a mettere in discussione i comportamenti tossici di colleghi e superiori che causano stress in prima battuta.

5. Partire dai dati sbagliati

Nel 2011, l’unico indice di benessere dei dipendenti di un’azienda era il tasso di presenza in ufficio. Oggi, grazie anche alla pandemia, la percezione della salute mentale è cambiata e sappiamo che essere seduti a una scrivania non è sinonimo di lavorare. 

Ma bisogna fare un passo in più e tenere in considerazioni i parametri che mostrano davvero i punti deboli di un’organizzazione, come l’alto tasso di turnover, la mancanza di fiducia nell’azienda, il numero di dipendenti che presentano sintomi di burnout.

6. Proporre soluzioni approssimative

Quando si parla di salute mentale è impossibile proporre soluzioni che siano valide per tutti e per tutte. Non esistono scorciatoie: tutto parte dall’ascolto, per poi passare alla pianificazione e infine alla presentazione della proposta o del progetto. Senza dimenticare che anche il migliore dei progetti sarà sempre in costante evoluzione, così come lo sono le persone.

7. Non avere una visione d’insieme

Gli esseri umani adorano dare risposte semplici a problemi complessi. Fai un corso, prendi una pastiglia, scrivi una lista delle cose da fare. La verità è che però il benessere è qualcosa di complesso, che cambia da persona a persona e che muta nel tempo. Per questo le attività che favoriscono il benessere in azienda devono essere progettate a lungo termine per creare una vera e propria “cultura” aziendale positiva che non duri solo il tempo di qualche saluto al sole.

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