In una delle biografie dedicate alla vita di Steve Jobs, la moglie Lauren Powell racconta che il perfezionismo dell’imprenditore riguardava ogni minimo aspetto della sua vita, sia professionale che personale.
“Abbiamo parlato di mobili in maniera teorica per otto anni. Abbiamo passato un sacco di tempo a chiederci: a cosa serve un divano?”, racconta.
Alla fine, i due riuscirono a scegliere un divano – dopo dieci anni di riflessioni.
L’esempio di Steve Jobs può essere un po’ eccessivo, ma descrive perfettamente il perfezionismo, ovvero la tendenza a stabilire standard irrealistici per sé stessi e le altre persone (e in alcuni casi, anche per i mobili).
La scienza non lo classifica come un disturbo psicologico, ma chi si occupa di salute mentale riconosce che questa tendenza può avere gravi conseguenze, come diminuzione dell’autostima, burnout, problemi d’ansia e depressione.
Nonostante fissi obiettivi umanamente impossibili da raggiungere, chi è perfezionista tende, infatti, a incolpare sé stesso o sé stessa per non aver fatto di più, alimentando una spirale di senso di colpa, frustrazione e, come dimostra l’esempio di Jobs, di procrastinazione che si riflette negativamente su creatività e produttività.
Ma come uscire dal circolo vizioso del perfezionismo sul lavoro e vivere più serenamente il proprio rapporto con scadenze, obiettivi e risultati?
Un’alternativa al perfezionismo sul lavoro
“Le nostre ricerche dimostrano che i perfezionisti che raggiungono il successo lo fanno nonostante il loro perfezionismo, non grazie a esso”, afferma lo psicologo Tom Greenspon al Wall Street Journal. Il motivo è semplice: “se la tua maggiore preoccupazione è come stai facendo qualcosa e non cosa stai facendo, farai inevitabilmente qualche passo falso”, spiega l’esperto.
A questa preoccupazione si aggiunge il fatto che chi è perfezionista spesso pensa più alla quantità dei suoi sforzi che alla loro qualità. “È come allenarsi più del dovuto in palestra, solo per scoprire di essere ormai talmente stanco o stanca da non poter fare più neanche gli esercizi più semplici”, spiega Tracy Dennis-Tiwary, psicologa e professoressa di neuroscienze.
Uno dei paradossi del perfezionismo, infatti, è proprio questo: voler fare le cose nel migliore dei modi possibili e finire per sprecare il proprio potenziale e ottenere risultati mediocri perché ci si è semplicemente sforzati troppo.
“Ma esiste un’alternativa sana al perfezionismo”, spiega Dennis-Tiwary, “non puntare alla perfezione, ma all’eccellenza”. Quest’approccio, chiamato excellencism, è stato teorizzato dal professore di psicologia dell’Università di Ottawa Patrick Gaudreau e prende il meglio del perfezionismo, lasciando da parte i suoi aspetti più tossici, come il senso di colpa e la paura del fallimento.
“Una persona che punta all’eccellenza è aperta a nuove esperienze, risolve i problemi in maniera unica e non ha paura di fallire, a patto di riuscire a imparare dai propri errori per puntare di nuovo a risultati eccellenti”, precisa Dennis-Tiwary.
Ma cosa vuol dire “risultati eccellenti”? Chi punta a questo tipo di risultati “vuole trovare il punto di incontro tra un risultato ottimo e un risultato accettabile” e ha imparato a “fare sforzi sufficienti – ma non eccessivi – per raggiungere i propri obiettivi”.
Un esercizio per guarire dal perfezionismo
“Mi ritengo una perfezionista in rehab”, spiega Dennis-Tiwary, che sul Washington Post ha condiviso il suo esercizio preferito per mettere in pratica la teoria di Gaudreau e puntare all’eccellenza.
Innanzitutto, “scegli un compito che devi svolgere e che sai che risveglia il tuo istinto perfezionista”, consiglia l’esperta. Poi prendi un foglio e fai una lista degli elementi che renderebbero quel risultato perfetto: chi è perfezionista, infatti, tende a ossessionarsi sui dettagli e perdere di vista la visione d’insieme sul lavoro che deve fare.
“Leggi la lista e scegli almeno una cosa che può anche non riuscire alla perfezione. Forse solo una, forse possono essere molte. Ma scegli qualcosa di cui puoi davvero fare a meno”, consiglia Dennis-Tiwary. “Poi osserva le conseguenze: com’è andata? Come ti senti? Come si sentono le altre persone?”, conclude.
Fai questo esperimento varie volte, scegliendo compiti sempre diversi. È molto probabile che i tuoi risultati siano comunque notevoli, per non dire eccellenti, e che raggiungerli sia stato molto meno stressante di prima.