Ciao, sono Gianvito Fanelli, ho una newsletter e almeno un annetto fa mi sono detto: “sarebbe interessante conoscere le persone che leggono la newsletter”. Del resto, in quel momento eravamo in lockdown e conoscere gente dal vivo non se ne parlava. Ho iniziato aprendo il mio calendario. Poi il lockdown è continuato. Un giorno ho scoperto Zwap e mi sono detto “Di persone dal vivo non ne vedrò per un po.."
Mi sono iscritto, ho impostato un paio di slot, ho completato il mio profilo e aspettato il mio primo incontro. Me lo ricordo ancora: era il CEO di un’importante agenzia di comunicazione. Non una persona con la quale parlerei tutti i giorni, specie ora che sono sceso giù in Puglia (anche se ho scoperto essere un po’ il centro del mondo, vuoi perché ci vengono tutti in vacanza; anzi, ciao Domingo, che sei “il CEO di un’importante agenzia di comunicazione” a 5 minuti a piedi da casa). Ma andiamo avanti: sono passati un po’ di mesi, Zwap si è rifatto il look ed è entrato nelle vite di migliaia di persone.
Una di loro è quella che ho incontrato nella mia ultima “zwappata”. Si chiama Matteo Martinuzzi e a lui, Zwap, la vita l’ha un po’ cambiata. Senti un po’ quello che ci siamo detti.
Ciao Matteo, dove sei? Che fai?
Ciao Gianvito, sono a casa mia a Novara. E tu?
Io sono a Conversano, in Puglia, e no, non c’è il sole come tutti pensano. Mi racconti un po’ di cosa ti occupi?
Certo! Sono un Leadership & Team Coach. In pratica, supporto i leader e i team ad allenare le loro abilità e svilupparne di nuove, aggiornare il loro stile di leadership e affrontare tutte le incertezze del loro lavoro.
Come sei finito a fare il coach?
Ho 37 anni ed è da un po’ che m’interesso di come funzionano gli umani. Sono partito occupandomi di autismo e lì ho capito quanto mi piace vedere il miglioramento delle persone. E mi sono reso conto di quanto fosse importante per me essere stimolato in modo differente. Ho iniziato col coaching otto anni fa e l’ho fatto perché ho capito che impatto che la leadership può avere, non solo sulle aziende ma su ognuno di noi e sulla società. Se tutti fossimo leader, non nella definizione gerarchica classica, ne beneficeremmo tutti.
E chi sono i tuoi clienti?
Di norma, sono tutti under 45.
Di norma, ma…?
C’è anche una persona di 70 anni.
E si può cambiare a 70 anni?
Sì, questa persona faceva parte di una grande organizzazione negli USA. Ho lavorato con lui in remoto col suo team alle Hawaii.
Azz, in remoto.
Purtroppo, sì. Comunque averne di settantenni così!
L'incontro che ti cambia la vita
A proposito di spiagge e sole, ho letto che hai creato un nuovo programma di coaching proprio grazie a un incontro su Zwap.
Sì, qualche tempo fa ho incontrato Heidi qui su Zwap. Io da Novara, lei da Las Palmas, dove si è trasferita per seguire il suo stile di vita. Dopo le classiche domande di rito, ci siamo ritrovati attorno a uno stesso pensiero: l’importanza dell’equilibrio vita-lavoro. Nonostante due storie e stili di vita completamente diversi.
Cosa fa lei?
Heidi fa la digital coach specializzata in LinkedIn. In pratica, ti aiuta a definire la tua presenza lì. Ha fatto un percorso interessante negli ultimi tempi, che le ha permesso di ridefinire il suo stile di vita. Entrambi avevamo un sogno nel cassetto: creare un percorso di coaching specializzato, coinvolgendo diversi professionisti che portano punti di vista differenti. Ci siamo detti: “Ne parliamo la settimana prossima?”
E poi che è successo?
Abbiamo fatto un’altra zwappata, e un’altra ancora.
E quindi avete capito che era il caso di andare avanti.
Esatto. Abbiamo iniziato subito a contattare delle altre persone, poi abbiamo creato i moduli e i contenuti. Tutto partendo da una chiacchierata qui su Zwap.
L’avete già messo in pratica?
Lo stiamo lanciando questo mese. Partiremo con una versione “beta” su invito, per capire cosa funziona e cosa dobbiamo modificare.
Com’è fatto?
È un incontro a settimana, per tre mesi, dove toccheremo temi diversi tipo movimento fisico, postura, alimentazione… ogni settimana hai anche degli esercizi semplici, per stimolarti ed aiutarti ad avere continuità.
E poi ve ne andate alle Canarie?
Volendo, ma non è obbligatorio.
Il ruolo del leader nelle organizzazioni
E chi non lo vorrebbe? Fammi sapere come va, eh. Comunque, visto che sei un lavoratore in remoto da prima della pandemia, vorrei parlare con te di questo tema. Ho appena cambiato lavoro e, per la prima volta, mi sono ritrovato a parlare con dei colleghi/avatar. Nel lavoro precedente, invece, li avevo conosciuti fisicamente prima di iniziare in remoto. Mi rendo conto che in questa modalità il rischio è di diventare un po’ “imprenditore di se stessi”, finendo per sentirsi soli o di avere delle responsabilità che non necessariamente una persona vorrebbe. Il rischio è che ognuno vada per la sua strada. Tu che lavori con le aziende, cosa consiglieresti a una persona che deve gestire queste dinamiche e “accogliere” tutte le modalità di lavoro?
Non so se si può progettare un’organizzazione per accogliere tutti i modi diversi di lavorare. Per esempio, c’è un estremo – Netflix – che ti dice chiaramente che se non rientri in determinati valori, non fai per loro. Mentre parlavi, mi è venuto in mente il concetto di solitudine: il ruolo del leader, in questi casi, dev’essere quello di favorire la connessione e lo scambio fra colleghi. Deve far scaturire nelle persone la domanda “Chi è Gianvito?”, per far emergere la persona oltre agli aspetti tecnici. Tutto quello che abbiamo fatto come esseri umani è frutto del lavoro di squadra, ma la nostra cultura individualista ce lo fa dimenticare. La scuola ci mette tutti contro tutti. Nel lavoro si valuta in singolo, ma si deve lavorare in team. Dobbiamo cambiare da questo punto di vista.
Ne potremmo parlarne per ore. Per non parlare della fortuna, e del fatto che i meriti individuali sono molto sopravvalutati, specie in un mondo così complesso. Basti vedere chi sono i nuovi idoli: imprenditori bianchi, maschi, americani. Mi viene in mente Elon Musk, che rimane un genio: ma Hyperloop non l’ha inventato lui, anche se in molti lo pensano. E il suo racconto è quello di un imprenditore che lavora e basta. E così influenza la cultura in cui viviamo. Tu hai qualche esempio più illuminante da seguire?
Sei la prima persona a farmi questa domanda! Mi vengono in mente due nomi, ma prendili con le pinze: un classico, Olivetti, e Cucinelli, un altro classico.
A me viene in mente Hamdi Ulukaya, fondatore di Chobani, che ha fatto un bel TED talk intitolato “The Anti-CEO Playbook”. Sempre che non venga fuori che ha fatto qualche cazzata, quindi meglio fare una ricerca su Google News prima di suggerirlo. Ecco, ha appena assunto un nuovo CEO, ed è l’ex-CEO di Juul, quelli dello scandalo delle sigarette elettroniche negli USA.
Che è il motivo per cui non consiglio di seguire persone o formule prestabilite, ma framework. Quando lavoro, cerco di aprire delle porte. Non di darti una bacchetta magica che non esiste. Bisognerebbe pensare a se stessi come degli agricoltori: preparo la terra, semino, curo, seguo le stagioni e poi raccoglierò i risultati.
Che bella metafora per chiudere. Ciao Matteo, ci becchiamo alla prossima zwappata.
Ciao Gianvito!