Il 2021 è stato l’anno del lavoro ibrido: dopo molte false partenze, gran parte delle aziende in Italia e nel mondo ha optato per una soluzione di compromesso. Secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, negli ultimi mesi del 2021 4,38 milioni di italiani hanno lavorato almeno in parte da remoto, un aumento dell’8% rispetto all’estate. I benefici di questo approccio sono sempre più evidenti: più flessibilità, più equilibrio tra vita privata e lavorativa, più occasioni per chi non vive in grandi città. Ma la vita da ufficio ha almeno un vantaggio che non possiamo lasciarci completamente alle spalle: il «soft work».
Soft work vs. hard work
«Sono un grande sostenitore del lavoro in ufficio. Mi manca origliare le conversazioni degli altri, sapere che farò una chiacchierata a mezzogiorno, mi manca la “domandina” che diventa una conversazione di mezz’ora e la magica scintilla di creatività che accendono queste relazioni», racconta Derek Thompson, giornalista di The Atlantic. «Non sono pagato per fare queste cose in ufficio e la valutazione delle mie prestazioni a fine anno non dipende da questo. Io lo chiamo soft work», aggiunge. Il suo opposto è l’«hard work», ovvero ciò che ogni dipendente viene effettivamente pagato per fare: nel suo caso, scrivere articoli e fare ricerca, ma la definizione si adatta a qualsiasi professione. E se c’è una cosa che abbiamo imparato negli ultimi due anni, è che la maggior parte dei lavoratori non essenziali può dedicarsi all’hard work da casa: anzi, è molto probabile che riesca a farlo anche meglio che in ufficio, dato che avrà meno distrazioni da parte dei colleghi.
Ma tutto questo ha un costo, come dimostra una ricerca realizzata dall’Università di Berkley in collaborazione con Microsoft: nei primi sei mesi della pandemia, infatti, il lavoro da remoto ha fatto diminuire la collaborazione tra i dipendenti dell’azienda e la mancanza di comunicazione ha reso molto più difficile acquisire e condividere nuove informazioni. La chiave per capire i risultati della ricerca è la distinzione che i ricercatori fanno tra due tipi di legami: i legami tra persone dello stesso gruppo, ovvero quelli che si creano tra chi lavora al di sotto dello stesso manager, e i legami tra persone di gruppi diversi, che corrispondono a tutte le amicizie informali che si stringono tra persone che lavorano nella stessa azienda. «Il lavoro da casa ha spazzato via tutti i legami tra persone di gruppi diversi», riassume Thompson. Ma cosa c’è di così preoccupante in questi dati?
Da oltre un decennio chi studia la produttività ripete lo stesso ritornello: il dialogo tra persone con competenze diverse è fondamentale per stimolare la creatività. Le più grandi invenzioni della storia arrivano da lì: da persone intelligenti che uniscono idee che vengono da ambiti più o meno distanti da quello in cui sono specializzate. C’è poi un altro motivo che rende questi risultati interessanti, forse più semplice e concreto, ma non per questo meno importante: le chiacchierate informali possono non sembrare produttive a prima vista, ma sono fondamentali per costruire i rapporti di fiducia necessari per scambiare idee e opinioni professionali senza ostilità e rancore.
Tre consigli per non abbandonare il soft work
Per chi lavora in imprese che hanno abbracciato l’idea del full remote working, l’ufficio è ormai un ricordo del passato. Per altri, è un luogo nuovo, da abitare per qualche giorno a settimana. Per tutti, ecco tre consigli da seguire per mantenere viva l’abitudine del soft work a distanza e non dire addio anche ai suoi benefici:
- Scrivere una newsletter interna
Uno dei grandi vantaggi dell’andare in ufficio è la facilità con cui ci si mantiene aggiornati sui piccoli o grandi eventi che fanno la vita di un’azienda: progetti, nuove assunzioni, pensionamenti, acquisizioni e fiere. Un’opzione per mantenere viva la comunicazione interna è creare una newsletter mensile da inviare a tutti i dipendenti dove ogni divisione avrà il suo spazio dove raccogliere informazioni, notizie e novità.
- Organizzare “caffè virtuali”
Proporre un “caffè virtuale” è il primo passo per rompere il ghiaccio con le persone con cui non si lavora a stretto contatto tutti i giorni: basta vedersi mezz’ora ogni due o tre settimane per far nascere una dinamica simile a quella che si crea quando si è in coda alla macchinetta del caffè. Non si deve necessariamente parlare di lavoro (anche se può succedere, certo): l’importante è mantenere vivo il rapporto e costruire una routine.
- Sfruttare al meglio il potenziale di Slack
Slack è l’antidoto alle mail: è una piattaforma per scambiare messaggi e velocizzare la comunicazione tra persone che lavorano insieme. Funziona sia da desktop che da mobile e si suddivide in canali dedicati ad argomenti precisi (che possono corrispondere ai vari dipartimenti di un’azienda). Ma i canali di Slack possono avere (e spesso hanno, come racconta questo articolo) anche un’altra funzione: possono diventare luoghi virtuali che riproducono esperienze reali, come le chiacchiere in corridoio o durante la pausa pranzo. Creare canali dove non parlare strettamente di lavoro può far nascere conversazioni interessanti e permettere a chi è da remoto di concedersi qualche momento di pausa in compagnia.